In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Un pastore ed il suo gregge
di pecore, figure un po' desuete per i nostri giorni. Eppure ci capita ancora
di poter osservare alla periferia delle nostre città alcuni di questi uomini,
disposti a dormire in alloggi di fortuna, mangiare pasti frugali, affrontare il
sole e la pioggia, e persino lo scherno della gente comune, pur di non
abbandonare il proprio gregge, e guidarlo nei pascoli migliori.
E questa immagine di pastore, oggi Gesù ce la propone per raccontarci la sua amicizia fedele con noi. E un po' ci sentiamo turbati nel pensare che il nostro Dio non tema di paragonarsi a uomini tanto umili, lasciati ai margini, isolati dalla "migliore società". Ci stupisce che usi proprio questa similitudine, oggi ancora più forte proprio perché desueta, per descriverci la sua dedizione costante, il suo disprezzo per ogni pericolo, la sua vicinanza ostinata, tanto che nemmeno l'arrivo di un lupo lo potrà allontanare da noi.
E questa immagine di pastore, oggi Gesù ce la propone per raccontarci la sua amicizia fedele con noi. E un po' ci sentiamo turbati nel pensare che il nostro Dio non tema di paragonarsi a uomini tanto umili, lasciati ai margini, isolati dalla "migliore società". Ci stupisce che usi proprio questa similitudine, oggi ancora più forte proprio perché desueta, per descriverci la sua dedizione costante, il suo disprezzo per ogni pericolo, la sua vicinanza ostinata, tanto che nemmeno l'arrivo di un lupo lo potrà allontanare da noi.
Se ci fermiamo a pensare al
mondo in cui viviamo, ci vengono alla mente più facilmente diverse categorie di
mercenari che vogliono far sentire forte la propria voce, e cercano di
guidarci, per interesse, su pascoli lontani. A volte, in tutto questo
frastuono, ci capita persino di pensare che il pastore buono, Gesù, si sia
dimenticato di noi, o abbia smesso di dirci qualcosa. E il rischio ancora più
grande è di condividere questa convinzione con chi ci circonda, e insieme, come
un gregge, seguire la voce sbagliata.
Ma Gesù è davvero il
pastore buono, e la sua voce non smette di farsi sentire. È una voce che
accompagna, che protegge. La voce di chi dà la propria vita senza chiedere
nulla in cambio. È la voce di chi guida per educare, per trarre da ciascuno il
meglio di sé. Ed educare in fondo è proprio questo: conoscere, farsi conoscere,
porsi accanto, proteggere fino a dare la vita.
E noi che nella nostra vita
ci troviamo per tratti più o meno lunghi ad essere a nostra volta educatori, ci
accorgiamo che verrà un giorno in cui smetteremo di essere i pastori dei nostri
figli, ma ci scopriremo, insieme, pecore dello stesso gregge. E sappiamo che
anche per questo abbiamo bisogno di essere guidati, di avere qualcuno che ci
tiene per mano, che ci nutre, che ci fa sentire sicuri.
Così oggi, pensando alla
nostra vita, alla nostra famiglia, alle nostre relazioni vogliamo concentrare
la nostra attenzione anche su quel gregge che conosce il Pastore e la sua voce,
e la distingue tra mille, e la segue. E pensiamo che alle pecore non è chiesto
di scegliersi il pascolo, ma di andare dove il pastore le conduce. Così come a
noi non è chiesto su quale terra, e per quali vie conoscere e far conoscere
l’amore, ma di lasciarci accompagnare, fiduciosi della Sua voce, amando ogni
filo d’erba che ci è dato di brucare, ogni uomo o donna che nei prati del
lavoro, della casa, dei più diversi luoghi quotidiani, ci è dato di incontrare.
E ancora alle pecore non è
chiesto di osservare la grandezza del gregge, né il colore della pecora che
bruca accanto, né se il gregge si è arricchito di pecore di altri recinti, che
prima non seguivano il pastore. Ma è chiesto, alle pecore, di convivere e
dividere il recinto, e a noi, crediamo, di sentirci parte di una sola famiglia,
quella che riconosce un solo Padre.
Questo ci pare l’invito di
oggi: fidarci della Voce, senza farci condizionare dalle voci; affidarci al
Pastore, lasciandoci educare da Lui all'amore, senza domandarci se l'amore che
spendiamo sia speso bene o rischi di cadere nel vuoto; lasciarci condurre, per
imparare ad amare i luoghi che abitiamo con la consapevolezza che un Dio-pastore
è al nostro fianco, e "il suo amore è per sempre".
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