27/04/12

29 aprile 2012 - IV domenica di PASQUA - anno "B" -

Dal Vangelo secondo Giovanni (10, 11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».




Un pastore ed il suo gregge di pecore, figure un po' desuete per i nostri giorni. Eppure ci capita ancora di poter osservare alla periferia delle nostre città alcuni di questi uomini, disposti a dormire in alloggi di fortuna, mangiare pasti frugali, affrontare il sole e la pioggia, e persino lo scherno della gente comune, pur di non abbandonare il proprio gregge, e guidarlo nei pascoli migliori.
E questa immagine di pastore, oggi Gesù ce la propone per raccontarci la sua amicizia fedele con noi. E un po' ci sentiamo turbati nel pensare che il nostro Dio non tema di paragonarsi a uomini tanto umili, lasciati ai margini, isolati dalla "migliore società". Ci stupisce che usi proprio questa similitudine, oggi ancora più forte proprio perché desueta, per descriverci la sua dedizione costante, il suo disprezzo per ogni pericolo, la sua vicinanza ostinata, tanto che nemmeno l'arrivo di un lupo lo potrà allontanare da noi.
Se ci fermiamo a pensare al mondo in cui viviamo, ci vengono alla mente più facilmente diverse categorie di mercenari che vogliono far sentire forte la propria voce, e cercano di guidarci, per interesse, su pascoli lontani. A volte, in tutto questo frastuono, ci capita persino di pensare che il pastore buono, Gesù, si sia dimenticato di noi, o abbia smesso di dirci qualcosa. E il rischio ancora più grande è di condividere questa convinzione con chi ci circonda, e insieme, come un gregge, seguire la voce sbagliata.
Ma Gesù è davvero il pastore buono, e la sua voce non smette di farsi sentire. È una voce che accompagna, che protegge. La voce di chi dà la propria vita senza chiedere nulla in cambio. È la voce di chi guida per educare, per trarre da ciascuno il meglio di sé. Ed educare in fondo è proprio questo: conoscere, farsi conoscere, porsi accanto, proteggere fino a dare la vita.
E noi che nella nostra vita ci troviamo per tratti più o meno lunghi ad essere a nostra volta educatori, ci accorgiamo che verrà un giorno in cui smetteremo di essere i pastori dei nostri figli, ma ci scopriremo, insieme, pecore dello stesso gregge. E sappiamo che anche per questo abbiamo bisogno di essere guidati, di avere qualcuno che ci tiene per mano, che ci nutre, che ci fa sentire sicuri.
Così oggi, pensando alla nostra vita, alla nostra famiglia, alle nostre relazioni vogliamo concentrare la nostra attenzione anche su quel gregge che conosce il Pastore e la sua voce, e la distingue tra mille, e la segue. E pensiamo che alle pecore non è chiesto di scegliersi il pascolo, ma di andare dove il pastore le conduce. Così come a noi non è chiesto su quale terra, e per quali vie conoscere e far conoscere l’amore, ma di lasciarci accompagnare, fiduciosi della Sua voce, amando ogni filo d’erba che ci è dato di brucare, ogni uomo o donna che nei prati del lavoro, della casa, dei più diversi luoghi quotidiani, ci è dato di incontrare.
E ancora alle pecore non è chiesto di osservare la grandezza del gregge, né il colore della pecora che bruca accanto, né se il gregge si è arricchito di pecore di altri recinti, che prima non seguivano il pastore. Ma è chiesto, alle pecore, di convivere e dividere il recinto, e a noi, crediamo, di sentirci parte di una sola famiglia, quella che riconosce un solo Padre.
Questo ci pare l’invito di oggi: fidarci della Voce, senza farci condizionare dalle voci; affidarci al Pastore, lasciandoci educare da Lui all'amore, senza domandarci se l'amore che spendiamo sia speso bene o rischi di cadere nel vuoto; lasciarci condurre, per imparare ad amare i luoghi che abitiamo con la consapevolezza che un Dio-pastore è al nostro fianco, e "il suo amore è per sempre". 

20/04/12

22 aprile 2102 - III domenica di PASQUA - anno "B"

Dal Vangelo secondo Luca (24, 35-48)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».




Gesù è risorto, e appare ai suoi nel cenacolo. Ancora una volta in mezzo a noi. Ancora una volta a sorridere della nostra eterna incredulità e paura. E noi, ancora una volta, ostinati nell'interrogare la fede altrui cercando risposte che solo aprendo il nostro cuore alla fiducia in Lui possiamo trovare. Così oggi ci fermiamo al cospetto di un Dio che, sconfitta la morte, torna dai suoi amici e mangia con loro pesce arrostito. Un Dio che non ostenta il suo trionfo, che non giudica chi l'ha tradito o chi non ha ancora il coraggio di credere, ma che si siede a tavola.
E ci vediamo come in uno specchio, "sconvolti e pieni di paura" mentre, incontrando Gesù, "crediamo di vedere un fantasma", uno spirito, una “lontananza” anziché una presenza. Crediamo di avere a che fare con Qualcuno ormai destinato ad abitare il cielo, e quindi distante dal poter capire ciò che noi stiamo concretamente vivendo, distante dal poter accogliere i nostri problemi, le nostre fatiche, le nostre misere vicende quotidiane.
Ma Gesù non si ferma, non ci abbandona. Non si scoraggia pensando che non ci è bastata l'incarnazione, non ci è bastato il suo lavarci i piedi, non ci è bastato il suo abitare le sofferenze più umilianti, non ci è bastato vedere un sepolcro vuoto, per capire che la fede, il cammino d'amore che ci è chiesto, è un cammino terribilmente umano e concreto. No, non si ferma, non ci abbandona e capisce. E così torna in mezzo a noi, riportandoci a quella vita che è "dai tetti in giù", e ci chiede da mangiare.
La tavola, lo sappiamo bene, è il posto dove ci si ritrova tutti, dove si condividono il cibo e la giornata trascorsa, dove ci si scambiano opinioni e progetti. A tavola ci si lascia andare, talvolta si scaricano sugli altri le tensioni della giornata, si dà il meglio ed il peggio di sé. E la tavola è anche il posto del “passarsi l'acqua”, del servirsi a vicenda. E tutto questo Gesù lo vuole condividere con noi: è uno di noi, ha scelto la vita e vinto la morte per questo. E così, come a tavola aveva iniziato i suoi miracoli a Cana, così ora sceglie di affidare ad una tavola il compito della testimonianza.
E noi ci guardiamo l'un l'altro increduli, impauriti come i primi apostoli, stupiti che un luogo così quotidiano, così intimo, sia il luogo d'elezione per l'annuncio del Vangelo. Eppure questo è il nostro Dio: un Dio con cui possiamo permetterci di condividere "una porzione di pesce arrostito", un Dio con cui possiamo permetterci di sedere a tavola, per gustarne la presenza in “carne e ossa”. E quel gomitolo di relazioni, di sentimenti, di quotidiana umanità che vive nelle nostre giornate, è davvero ciò di cui l'annuncio del Vangelo non può fare a meno, è davvero il terreno su cui il seme che è morto può dare molto frutto.
Allora, dopo la gioia della Pasqua, oggi cominciamo la strada verso la concretezza semplice ed usuale della Risurrezione. Cominciamo a cercare la Risurrezione in una sera di famiglia in cui spegniamo le luci dei riflettori, dei “dover essere” e dei “sembrare”, per parlare dei semplici avvenimenti della giornata ed insegnarci reciprocamente ad amarli. Scopriamo la Risurrezione di una luce accesa, perché un amico possa sedersi nel nostro salotto, e condividere i suoi problemi o le sue gioie. Scopriamo la Risurrezione di una telefonata inattesa, per raccontare la sincerità di una relazione coltivata anche nei tempi e negli spazi lontani. Scopriamo la Risurrezione di un banale “pesce arrostito” pur di stare a tavola con chi non conosce il calore rassicurante di una famiglia.
E attraverso tutto questo, Gesù, silenziosamente al nostro fianco, in carne e ossa, fa “risplendere su di noi la luce del suo volto”, e ci insegna ad essere, giorno dopo giorno, piccoli testimoni di quella gioia che, se compresa, fa scoppiare il cuore, e lo trasforma da cuore di pietra in cuore di carne. 

13/04/12

15 aprile 2012 - II domenica di Pasqua - anno "B"

Dal Vangelo secondo Giovanni (20, 19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. 




E' tornato. Ha vinto le porte chiuse, ha vinto le nostre paure, ha vinto persino la nostra incertezza ed incredulità. E' tornato per donarci il perdono e la pace. Questa è la buona notizia di oggi: siamo amati di un amore forte, impossibile da sconfiggere, capace oltre ogni resistenza.
Gesù entra nelle nostre stanze chiuse, e come a voler togliere l'aria stantia, soffia su di noi lo Spirito che cancella il peccato. Cancella quel peccato che non è una cosa visibile, come una ruga sul viso, o come le ferite di Gesù. E non è neanche "aver fatto qualcosa di male" o una macchia indelebile sull'anima. Cancella il peccato di mancare all'appuntamento con l'Amore, di essersi allontanati come aveva fatto quella domenica Tommaso.
E così insieme ai dodici scopriamo che non abbiamo più un Dio da temere, ma un Dio che desidera stare in mezzo a noi, al centro delle stanze della nostra vita, e che a noi, amici suoi, è concesso di ricambiare il suo amore con il nostro. Questa è la pace. Non l'assenza di dolore, non l'assenza di timore, non l'assenza del desiderio di fuggire davanti a tristezze o gioie più grandi di noi, ma l'amore scambiato tra Dio e la nostra fragile umanità, scambiato con quel Dio che ci viene a cercare, anche quando lo chiudiamo fuori.
Chi è fuori dalla stanza non può capire, visto da fuori sembra assurdo, incredibile. E certo anche noi ci scopriamo a pensare incredibile una simile vicinanza con Lui, ci scopriamo a voler toccare con mano, prima di credere di non essere più esecutori supini di una legge, ma uomini chiamati a vestire l'abitudine dell'amore totale. Ci scopriamo ad essere un po' come Tommaso, quando la paura di un'altra delusione ci rende schiavi del passato, quando credere ci sembra una mancanza di buon senso, quando avere fede ci sembra una scommessa troppo grande.
Ma quasi a rispondere alle nostre richieste di assicurazione, al nostro desiderio di mettere le mani nei buchi dei chiodi e nella ferita del costato, il Signore ci dona altri uomini con cui condividere il suo amore, così che amando l'uomo troviamo la radice dell'Amore, e amando Lui impariamo ad amare l'uomo.
Ecco allora che anche le nostre piccole occupazioni sdrucciole, quelle in cui non ci accorgiamo nemmeno di avere l'amore come prima ed ultima radice, diventano la nostra palestra e la nostra garanzia. Ecco che scoprendo la delicatezza di un marito o di una moglie, o spiando il sorriso innamorato di un figlio, e contemplando la generosità di un bambino o la sincerità di una amicizia, sentiamo crescere in noi quella pace che è gioia piena del cuore, e scopriamo che quella pace può arrivare solo da Lui e può condurci solo a Lui, attraverso innumerevoli e sconosciute strade. Così ogni gesto che siamo abituati a catalogare tra i doveri scontati, ogni occupazione che formalmente classifichiamo tra i gesti dovuti, non sono che la via vera, sincera e non formale, per camminare ciascuno e tutti verso la pace del cuore.
Pace a noi, allora, che scopriamo l'amore, o che fatichiamo a trovarlo, o che ci sforziamo ogni giorni per tenerlo vivo. Pace a noi, che scopriamo la testimonianza che vive della vita semplice, e scorgiamo l'amore grande di Dio, proprio nell'amore piccolo, e faticoso della nostra casa. Pace a noi, che grazie a questa pace che viene dal Suo perdono, e dalla Sua vicinanza, troviamo la forza per riaprire le nostre porte, le porte dei nostri bui cenacoli, per farli diventare nuova strada verso la Luce.

07/04/12

8 aprile 2012 - PASQUA DI RISURREZIONE

Dal Vangelo secondo Giovanni (20, 1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.




Oggi è il giorno della gioia. Cristo è risorto. La morte è vinta. La luce è tornata. La festa d’ora in poi è festa per sempre, festa per ogni giorno, perché "per sempre è il Suo amore".
E corriamo anche noi per le strade con il sorriso sui volti e le braccia alzate, e proseguiamo la strada di chi, nel tempo, ha ripetuto questo annuncio: Cristo è tornato tra i vivi. E come allora, anche noi abbiamo giorni in cui l'annuncio è pieno di stupore, misto di paura, come fu l'annuncio di Maria di Magdala che corse dai dodici dopo aver visto la pietra rotolata via dal sepolcro. Anche per noi ci sono giorni in cui le parole sono più timide della certezza della fede, e non sappiamo dire altro che "hanno portato via il Signore, e non sappiamo dove sia". E abbiamo giorni in cui la certezza di una presenza accanto ci spinge a correre, a muoverci senza esitazione e timore, come il discepolo amato. E giorni in cui la fatica, la stanchezza, l'aver conosciuto il peso dell'amore ci fa camminare lenti, senza troppo slancio.
Ma alla fine del cammino, giunti sulla soglia del sepolcro, ciascuno di noi, con i suoi tempi ed i suoi modi, proclama la vittoria dell'amore. Perché anche noi l'abbiamo visto risorgere l'amore, almeno una volta. L'abbiamo visto risorgere in quella coppia che ha superato una crisi, in quei genitori che hanno attraversato la perdita di un figlio imparando ad amare come figli tutti coloro che gli è dato di amare, in quelle cento, mille persone che decidono quotidianamente di donare tutta la loro vita al servizio di chi non ha nulla da dare in cambio. E vedendo l'amore risorgere dalle dichiarazioni di morte che giornali e opinione pubblica spesso ostentano, abbiamo, giorno dopo giorno, imparato a credere.
E così attraversando il tempo e lo spazio, possiamo gridare oggi come allora in Palestina, la fine del silenzio di Dio, la fine della sua lontananza, per dichiararne apertamente la Paternità e l'Amore.
Ma questa Risurrezione non è soltanto l'annuncio di un evento storico, sconvolgente, ma passato, come non è un evento storico, confinato nel tempo, il giorno delle nozze, né lo è la data di nascita di un figlio.
La Risurrezione è l'inizio di una storia, un evento che cambia la storia, la nostra prima ancora che quella universale. Oggi la felicità trova un motivo che la alimenta, un avvenimento di fronte al quale ogni tristezza, ogni paura si dissolvono. E ogni gioia, anche la più piccola si riempie di un significato grande; anche la felicità più piccola si specchia nell'eternità, si scopre ad avere origine nell'amore di un Dio che ci vuole felici e per noi ha osato l'impensabile.
E questo è l'evento, la notizia, l'imprescindibile novità del nostro essere seguaci Suoi: se Cristo è risorto per noi, anche noi "siamo risorti con Cristo". Oggi è Risurrezione anche da quella quotidianità che ci fa essere indifferenti, da quella fatica di vivere che ci rende insensibili.
Non c’è più timore allora nel perdere la memoria di un’ingiustizia subita, vivendo nella carne e nel cuore la misericordia prima ancora del perdono, perché ogni ingiustizia è già stata vinta e ogni rancore già superato.
Non c’è più timore nell’affrontare la fatica di educare un figlio alla condivisione e al dono gratuito di sé, sapendo che sarà deriso e considerato inadatto al tempo che abita, perché l’Amore ha già vinto la sua battaglia per noi.
Non c’è più timore nel perdere forze ed energie per impedire che le piccole gioie delle nostre giornate vengono soffocate dalla disattenzione, dalla fretta, dalle preoccupazioni, perché oggi capiamo quanto abbiano piena cittadinanza, quanto partecipino dell'amore di Dio, quanto siano coinvolte nella sua Risurrezione.
Così oggi vogliamo perderci nella lode e dedicare un pensiero a tutti quei momenti di piccola gioia domestica, quei momenti così quotidiani e consueti da sembrare banali, da non meritare neppure di essere ricordati. Uno sguardo, una carezza, un sorriso. Un favore, una gentilezza, un complimento inatteso. Il sapore del vivere insieme, del prenderci cura gli uni degli altri, dell'abitare la stessa casa o lo stesso mondo. Vogliamo perderci nella lode e portare nei giorni che verranno una certezza: quanto “è stato fatto dal Signore è una meraviglia ai nostri occhi.”