25/05/12

27 maggio 2012 - Solennità della PENTECOSTE - anno "B"

Dal Vangelo secondo Giovanni (15, 26-27; 16, 12-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».




Oggi è Pentecoste, oggi è il giorno in cui “l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito, che ha stabilito in noi la sua dimora.” Per questo oggi possiamo gridare con i dodici di Gerusalemme, e con tutti coloro che, insieme a noi, hanno conosciuto l’amore di Cristo: “io gioirò nel Signore”.
Oggi è giorno di gioia perché capiamo che a ciascuno di noi, ad ognuna delle nostre piccole storie, è stato concesso di vivere non solo in compagnia di Dio, ma abitati da Lui. Questo è il grande dono che l’Uomo, il Compagno di viaggio, Gesù, ci ha fatto dopo il suo ritorno al Padre: essere abitati dalla stessa relazione d'amore che intercorre tra il Padre e Lui. Possiamo vivere e nutrirci della stesso Amore che fa di tre una persona sola, e questa presenza, lo Spirito, ci rende una sola famiglia. E fa di ciascuno di noi, testimoni della sua inesauribile fedeltà, una sola comunità.
E non sono parole vuote, lontane dalle nostre esistenze, se pensiamo a quel giorno in cui noi, un uomo e una donna, ci siamo innamorati. Quando accade, è quasi un uragano. Come un vento che irrompe in una stanza chiusa, come un solo fuoco che brucia, e poi si divide, irradiando dai volti. Quando un uomo e una donna si scoprono innamorati, si accorgono di capirsi, di parlare l'uno il linguaggio dell'altra. Si giurano amore, fedeltà, e sono felici, in pace col mondo, testimoni viventi della loro felicità.
Così quando verrà lo Spirito, ci dice Gesù, “egli darà testimonianza di me”.
E per noi che crediamo in un Dio follemente innamorato dell'uomo, è facile capire il racconto che Luca ci fa di ciò che avvenne in quel lontano giorno. Ci sono dodici uomini per i quali, finalmente, scocca la scintilla. Dopo essere stati corteggiati per anni, dalla Galilea fino a Gerusalemme, all'improvviso si scoprono innamorati di Dio, si trovano a ricambiare, almeno un poco, quell'amore folle. Per quell'amore ora sono pronti a dare la vita, diverranno strumenti attraverso cui lo Spirito potrà soffiare su altri e, come per contagio, nella storia, giungere fino a noi.
Per noi che viviamo il Matrimonio, il giorno in cui ci siamo innamorati è stato il seme di una nuova vita. Abbiamo iniziato a costruire un futuro insieme, e fa un certo effetto pensare a quel giorno come alla nostra personale Pentecoste: come al giorno in cui il nostro amore piccolo e fragile si è scoperto abitato da un disegno d’Amore infinitamente più grande. Leggiamo, come in un chiaroscuro, le parole di Paolo, “il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, e ci accorgiamo dei momenti in cui lo Spirito ha guidato la nostra famiglia, rispetto alle volte in cui discordie e invidie hanno minato la nostra felicità. E quelle stesse parole non ci appaiono più leziose utopie, ma capiamo che ogni volta che siamo riusciti a gustare la gioia piena del nostro amore, è perché ci siamo arresi a Lui, e abbiamo potuto raccogliere i frutti della Vita e della Verità che ci abita. Ci accorgiamo che nei nostri momenti luminosi come in quelli bui, lo Spirito ha sempre abitato la nostra casa, e che abbandonarsi a Lui non può che spingerci a fare come gli apostoli di un tempo, e raccontare a tutti “le grandi opere di Dio”.
Così ogni volta che lasceremo da parte noi stessi per “lasciarci guidare dallo Spirito, non saremo più sotto la Legge”, perché l’unica legge a cui saremo vincolati, sarà la legge dell’amore. E ci scopriremo capaci di coprire le nostre inevitabili mancanze con l’amore, impareremo le strade per rendere fertile un cuore inaridito dalla solitudine e dalla sofferenza, sapremo consolare il pianto della malattia, e le ferite dell’abbandono. Non avremo timore nel superare la rigidità dei giudizi e delle precomprensioni, non faremo fatica a scaldare l’indifferenza gelida di un luogo di lavoro o di un fast-food. Saremo solleciti e discreti nel raddrizzare i discorsi vuoti di chi non crede più nella esistenza di un amore concreto e possibile. Perché non saremo noi a farlo, ma Lui. Lui che ci da ogni forza, Lui che abita ogni nostro respiro e che viene a “lavare ciò che è sórdido, bagnare ciò che è árido, sanare ciò che sánguina. Piegare ciò che è rigido, scaldare ciò che è gelido, drizzare ciò che è sviato.”

18/05/12

20 maggio 2012 - ASCENSIONE del Signore - anno "B" -

Dal Vangelo secondo Marco (16, 15-20)

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.




La scorsa domenica Gesù ci esortava a restare, a fermarci in Lui e con Lui, e oggi invece ci dice: “Andate in tutto il mondo”. Un errore? Un controsenso?
A volte siamo tentati di crederlo. Siamo più inclini, noi piccoli e semplici uomini di Galilea, a rimanere immobili a fissare il cielo. Un po’ come i nostri ragazzi quando, pur rivendicando autonomia e libertà, temono il momento in cui dovranno assumersi le proprie responsabilità, e restano quasi paralizzati nello scoprire che siamo disposti a lasciali fare, a lasciare loro il compito di scegliere la strada da percorrere.
Ma Gesù che sale al cielo, non ci lascia soli nella prova, quasi a voler inconsciamente dimostrare che non ce la possiamo fare. Gesù con la sua partenza e con le sue parole, ci manda al mondo lasciandoci un carico di fiducia totale, la fiducia totale che viene dal suo Amore: irrevocabile, assoluto, incondizionatamente fedele. E quando ci manda, non ci manda allo sbaraglio. Dice “andate”, ma dice anche con quale scopo: “proclamate il Vangelo a ogni creatura”.
E allora comprendiamo che restare e andare sono solo due declinazioni della stessa missione, che Lui stesso ci ha affidato: la missione della gioia e dell’amore. Comprendiamo che quello che ci chiedeva la scorsa domenica e che oggi ci chiede è sempre e solo custodire e coltivare le nostre relazioni d’amore, per essere pienamente felici. Coltivare la nostra coppia, perché non confondiamo la fedeltà ad un progetto con la fissità noiosa della routine. Coltivare l’amore per i nostri figli, imparando da Lui a vivere le quotidiane ascensioni, i quotidiani distacchi che il nostro compito di educatori ci impone. Coltivare l’amore per loro, ed imparare la gioia di donare la libertà, sapendo che ogni nostro figlio, ogni nostro frutto, non è un possesso, ma è stato anch’esso pensato da Lui, per restare e per andare. Coltivare le nostre amicizie, cercarne sempre di nuove e di sincere, per imparare che l’amore non si può imprigionare in uno stereotipo, non si piega agli intimismi, ma è libertà, è come un fiume, che non può non irrigare ciò che incontra.
E coltivare l’amore e la gioia, come Lui ci ha insegnato con la sua vita e con la sua morte, non significa rinchiudersi meschinamente sulle proprie certezze, considerando un tesoro geloso la nostra amicizia con Dio. Coltivare l’amore e la gioia, significa lasciarsi permeare da queste, perché diventino annuncio, perché ad ogni creatura sia proclamata la buona notizia che la felicità esiste ed è possibile. Perché un cuore pieno di gioia parla senza parole, illumina anche nel buio, rispetta l’intimità dell’altro, senza ostentazioni, ma insieme si apre un varco nel cuore di chi incontra. E ugualmente un amore coltivato, è una amore che per sua stessa natura diventa “politico”, aperto e dedito al mondo.
Ma allora quello che Gesù ci chiede non è eroica generosità, o supino servizio: è lasciar uscire dai nostri cuori, dalle nostre normalissime vite, dalle nostre umili giornate, tutta la gioia e tutto l’amore che Lui ci ha regalato. E questi saranno i segni che ci accompagneranno: impareremo a coprire con l’amore, il nostro piccolo amore, le solitudini dell’anima che ci capiterà di incontrare, impareremo a scacciare con il calore della vicinanza, i demòni dell’isolamento, del disfattismo, della non-speranza. Parleremo lingue che pensavamo di non conoscere, perché impareremo a parlare con il cuore più che con le labbra, con i gesti più che con le parole. Prenderemo in mano i serpenti della maldicenza e della critica, e impareremo a bere qualche veleno, quando vedremo i nostri figli apparire “diversi” ed essere derisi, ma senza che questo rechi danno a noi e a loro, perché né i serpenti né i veleni potranno più uccidere la gioia, da quando l’Amore ha vinto ogni morte.
E tutto questo, perché il bagaglio che Gesù ci ha lasciato tornando al Padre, non è un bagaglio di schiaccianti responsabilità su cui pesa il giudizio, ma la consapevolezza che “il Signore agisce insieme con noi”, e che l’unico debito da saldare è quello dell’Amore. 

11/05/12

13 maggio 2012 - VI domenica di PASQUA - anno "B"

Dal Vangelo secondo Giovanni (15, 9-17)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».




Un comando, un ordine. Il Vangelo di questa domenica ruota tutto intorno ad un imperativo che siamo tenuti a rispettare, senza condizioni, senza deroghe: amatevi. E ancora: “Rimanete nel mio amore.” Questa è la strada per la felicità che oggi Gesù ci mostra, e la strada su cui ogni giorno ci guida.
Rimanere, stare, fermarsi: parole spesso lontane dalla nostra quotidianità di uomini e donne impegnati nel lavoro, nella famiglia, nelle diverse attività che occupano freneticamente i nostri giorni. Eppure questa è la strada che ci viene indicata, e scopriamo, fermandoci, quale sia la sua ricchezza.
L’amore, ci accorgiamo, è costitutivo, è all'origine della nostra e di ogni famiglia. Se non ci fossimo innamorati, se non ci fossimo amati, non esisteremmo come coppia. Siamo impastati d’amore al punto da non poter esistere senza, al punto da divenire immagine dell’Amore più grande che esista, quasi un laboratorio per imparare a conoscere l'amore che Gesù stesso ha vissuto.
Ma quando il nostro rapporto di coppia sente la fatica, quando scopre le difficoltà e le incomprensioni della relazione, quando sembra non ci sia più nulla da dire, né ci siano più strade da intraprendere per ricostruire il progetto che insieme avevamo cominciato, allora fermarsi diventa il contrario di correre a tristi conclusioni. Fermarsi nel Suo amore, rende possibile attendere, sostare, perdere tempo per aspettare l'altro, per coltivare la riconciliazione senza timore di sprecare amore.
Quando i nostri figli esplorano strade lontane dai nostri progetti e ci sembra impossibile comprenderli e tanto più condividere le loro scelte, allora fermarsi significa non dichiarare subito il nostro fallimento di educatori. Restare nel Suo amore, ci incoraggia a sederci a tavola con loro sperperando sempre e comunque il nostro, il Suo amore, a dispetto delle opinioni differenti, e lasciando che il nostro, il Suo amore, faccia scoprire loro la radice unica della felicità vera.
Quando come famiglia e come comunità cerchiamo strategie efficaci per rendere testimonianza a quel Cristo che è risorto per noi, e ci fa risorgere con Lui, allora fermarsi significa non precipitarci a testa bassa verso complessi progetti pastorali, o sfolgoranti slanci di eroico altruismo. Stare nel Suo amore, significa abbandonarci a Colui che ci ha chiamato amici, e capire che "non noi abbiamo scelto lui, ma lui ha scelto noi", e che solo nutriti di Lui, potremo dare quei frutti che sono destinati a rimanere.
E allora ritroveremo, riscopriremo la gioia, quella gioia che vediamo nelle fotografie del giorno delle nozze, o in quelle dei bambini, che in ogni casa ci guardano da pareti e ripiani. La gioia che è la parte di noi che ci piace ricordare, mostrare. La gioia che è conseguenza dell'amore: se amare è un imperativo, essere felici è il suo effetto, per la nostra famiglia, e per ogni cristiano.
Nulla di segreto, nulla di nascosto. Tutto ciò che il Padre ha rivelato, ora anche noi lo sappiamo. Ed è tutto qui: il segreto della vita, la chiave della felicità, è rimanere nell'amore di Gesù, come lui rimane in quello del Padre.
E rimanere e andare diventano solo due facce della medesima medaglia. Operare e vivere nella Speranza certa della Sua gioia, e restare, attendere nel silenzio del cuore che lascia spazio alla risposta piena e abbondante di Dio.
Solo così, solo traboccanti del suo amore, solo capaci di appartarci con Lui, potremo amarci gli uni gli altri come lui ha amato, e donare a chi vive con noi, o a chi occasionalmente incontriamo, il nostro amore pieno e totale. Solo quando ogni nostra relazione sarà relazione d'amore, e sapremo rimanere nei nostri amori, nei nostri giorni, nelle nostre quotidiane occupazioni, senza fretta e senza corsa, la sua gioia sarà in noi, e, ciò che più vale, sarà gioia piena.

06/05/12

6 maggio 2012 - V domenica di PASQUA - anno "B"

Dal Vangelo secondo Giovanni (15, 1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».




Una vite ed i suoi tralci: un'unica pianta che corre lungo i filari della vita, raggiungendo distanze e luoghi solo apparentemente lontani dalla propria radice. Questa è l'immagine che oggi Gesù ci regala della nostra esistenza, della vita della nostra famiglia, del nostro essere cristiani.
E con un'immagine così apparentemente lontana dalla nostra routinaria quotidianità, ci racconta in realtà quello che ogni giorno viviamo. Lo sappiamo, lo sperimentiamo, sono i tralci a sentire l'energia della primavera, sui tralci sbocciano i germogli, sono i tralci a portare il peso e la gioia dei grappoli maturi. Siamo noi, piccoli tralci, a provare emozioni, a commuoverci e provare nostalgia. Siamo noi ad innamorarci, a ridere e a piangere per la felicità dei nostri figli.
Ma oggi Gesù ci dice, dice alle nostre case, al nostro matrimonio, alla nostra famiglia, che non esiste fecondità senza di Lui. E capiamo che la linfa che ci ha permesso di trarre ogni giorno il meglio uno dall'altro, che ci ha permesso di crescere insieme e di accoglierci come avevamo promesso nel giorno del nostro matrimonio, è sempre e solo Lui. Inaspettatamente quelle parole, “con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre”, assumono un significato diverso, sorprendente e liberante insieme. La nostra promessa, quasi incredibile, assume i connotati di una certezza, proprio perché Lui l’ha nutrita giorno dopo giorno. E così' possiamo pensare anche dei nostri figli: la nostra preoccupazione per trovare le migliori strategie educative, le scuole migliori, le attività sportive più strutturanti, si libera di ogni peso pensando che i frutti dei nostri rami, in realtà, sono frutti Suoi.
A volte è forte la tentazione di credere che quella linfa, che scorre lentamente ma senza mai fermarsi, non nasca in realtà così lontano. Immaginiamo che la forza dell'amore che dà vita alle nostre giornate, abbia origine solo dentro noi stessi. Ci convinciamo di aver costruito il nostro amore partendo dal nulla, e di averlo fatto sopravvivere alle difficoltà contando sulle nostre forze. Non è strano gioire nell'intimo quando vediamo i frutti dell'amore che ci abita, quando riusciamo a rendere migliore, anche solo un poco, la vita di qualcuno. Il rischio di credere che la vite a cui siamo connessi non abbia un grande ruolo, e di convincerci che potremmo fare da soli, con le nostre doti e capacità, c’è, ed è forte.
Ma per fortuna Gesù ci fornisce l'antidoto. Ci chiede di rimanere nel suo amore, ci promette la gioia di continuare a dare frutto, ci promette che i suoi frutti saremo noi a portarli. A questo allora siamo chiamati, a lasciar scorrere, nella nostra coppia, nel rapporto con i nostri figli, nelle nostre comunità, la stessa linfa di cui siamo nutriti: il suo Amore.
Lui è la radice della gioia e noi i tralci a cui è chiesto di portare la sua gioia. Così cogliendo da Lui il nostro nutrimento, potremo portare sereni i nostri grappoli. Potremo offrire ai nostri figli il grappolo del matrimonio, il grappolo di una vocazione vissuta. Potremo portare ai nostri amici il grappolo dell'accoglienza, dell'ascolto, il grappolo della serenità nelle difficoltà. E ogni volta che penseremo che forse sarebbe meglio fare da soli, ogni volta che saremo tentati di chiuderci nella gioia della nostra casa, appagante e rassicurante, ci accorgeremo che stiamo pensando, in realtà, di rinunciare all'unica vera origine della nostra gioia.
E tutto questo non è un delegare la vita, un lasciarsi vivere passivamente, ma sapere di essere parte integrante di una vite più grande di noi, che anche dalla ricchezza dei nostri grappoli trae la sua bellezza. E anche quando arriverà l'inverno e dal nostro tralcio cadranno le foglie, sapremo che la ragione della nostra vita è rimanere uniti a quella vite, che continuerà a nutrirci con la linfa dell'amore, nell'attesa di una nuova primavera.