20/04/12

22 aprile 2102 - III domenica di PASQUA - anno "B"

Dal Vangelo secondo Luca (24, 35-48)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».




Gesù è risorto, e appare ai suoi nel cenacolo. Ancora una volta in mezzo a noi. Ancora una volta a sorridere della nostra eterna incredulità e paura. E noi, ancora una volta, ostinati nell'interrogare la fede altrui cercando risposte che solo aprendo il nostro cuore alla fiducia in Lui possiamo trovare. Così oggi ci fermiamo al cospetto di un Dio che, sconfitta la morte, torna dai suoi amici e mangia con loro pesce arrostito. Un Dio che non ostenta il suo trionfo, che non giudica chi l'ha tradito o chi non ha ancora il coraggio di credere, ma che si siede a tavola.
E ci vediamo come in uno specchio, "sconvolti e pieni di paura" mentre, incontrando Gesù, "crediamo di vedere un fantasma", uno spirito, una “lontananza” anziché una presenza. Crediamo di avere a che fare con Qualcuno ormai destinato ad abitare il cielo, e quindi distante dal poter capire ciò che noi stiamo concretamente vivendo, distante dal poter accogliere i nostri problemi, le nostre fatiche, le nostre misere vicende quotidiane.
Ma Gesù non si ferma, non ci abbandona. Non si scoraggia pensando che non ci è bastata l'incarnazione, non ci è bastato il suo lavarci i piedi, non ci è bastato il suo abitare le sofferenze più umilianti, non ci è bastato vedere un sepolcro vuoto, per capire che la fede, il cammino d'amore che ci è chiesto, è un cammino terribilmente umano e concreto. No, non si ferma, non ci abbandona e capisce. E così torna in mezzo a noi, riportandoci a quella vita che è "dai tetti in giù", e ci chiede da mangiare.
La tavola, lo sappiamo bene, è il posto dove ci si ritrova tutti, dove si condividono il cibo e la giornata trascorsa, dove ci si scambiano opinioni e progetti. A tavola ci si lascia andare, talvolta si scaricano sugli altri le tensioni della giornata, si dà il meglio ed il peggio di sé. E la tavola è anche il posto del “passarsi l'acqua”, del servirsi a vicenda. E tutto questo Gesù lo vuole condividere con noi: è uno di noi, ha scelto la vita e vinto la morte per questo. E così, come a tavola aveva iniziato i suoi miracoli a Cana, così ora sceglie di affidare ad una tavola il compito della testimonianza.
E noi ci guardiamo l'un l'altro increduli, impauriti come i primi apostoli, stupiti che un luogo così quotidiano, così intimo, sia il luogo d'elezione per l'annuncio del Vangelo. Eppure questo è il nostro Dio: un Dio con cui possiamo permetterci di condividere "una porzione di pesce arrostito", un Dio con cui possiamo permetterci di sedere a tavola, per gustarne la presenza in “carne e ossa”. E quel gomitolo di relazioni, di sentimenti, di quotidiana umanità che vive nelle nostre giornate, è davvero ciò di cui l'annuncio del Vangelo non può fare a meno, è davvero il terreno su cui il seme che è morto può dare molto frutto.
Allora, dopo la gioia della Pasqua, oggi cominciamo la strada verso la concretezza semplice ed usuale della Risurrezione. Cominciamo a cercare la Risurrezione in una sera di famiglia in cui spegniamo le luci dei riflettori, dei “dover essere” e dei “sembrare”, per parlare dei semplici avvenimenti della giornata ed insegnarci reciprocamente ad amarli. Scopriamo la Risurrezione di una luce accesa, perché un amico possa sedersi nel nostro salotto, e condividere i suoi problemi o le sue gioie. Scopriamo la Risurrezione di una telefonata inattesa, per raccontare la sincerità di una relazione coltivata anche nei tempi e negli spazi lontani. Scopriamo la Risurrezione di un banale “pesce arrostito” pur di stare a tavola con chi non conosce il calore rassicurante di una famiglia.
E attraverso tutto questo, Gesù, silenziosamente al nostro fianco, in carne e ossa, fa “risplendere su di noi la luce del suo volto”, e ci insegna ad essere, giorno dopo giorno, piccoli testimoni di quella gioia che, se compresa, fa scoppiare il cuore, e lo trasforma da cuore di pietra in cuore di carne. 

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