31/12/11

1° gennaio 2012 - Maria Santissima Madre di Dio

Dal Vangelo secondo Luca (2, 16-21)

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.




“Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.”
Maria: è lei la donna che oggi ci apre le porte di questo nuovo anno. Un donna splendida e silenziosa, grandissima e mite, annuncio incarnato della novità d'amore che viene ad abitare la terra.
Una donna, protagonista indispensabile, che con la sua sobrietà, la sua modestia, i suoi silenzi, ci insegna e ci guida per la strada vera della vita.
È lei che ci ha permesso di vedere gli occhi di Dio. Vederli nel figlio, Gesù, "nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli". E vederli, splendenti, nel suo stesso sguardo, nel cuore di una madre che ha saputo lasciarsi guardare da Dio, e a realizzato la grande bellezza di chi sa acconsentire al Suo amore.
Lei è per noi il segno che la speranza è possibile. Lei ci dice ogni giorno che Dio ama più del peccato e sa rendere nuove le nostre vite, se solo gli rispondiamo un semplice “sì”. L'umanità, caduta e vinta dalla colpa, è rinata nel grembo di una donna che ha lasciato al Signore facoltà di  “far risplendere per lei il suo volto e di farle grazia”. Ha dato vita a Chi le dava Vita, e ha meditato e custodito tutto questo nel silenzio, ha cullato il suo Signore nel grembo, tra le sue braccia e nel suo cuore. Ha accompagnato un figlio verso l'infinito amore di Dio, amore disposto alla croce perché l'uomo avesse la vita in abbondanza, e lei, che di tale abbondanza era stata riempita, ha tenuto il corpo dell'Amore tra le braccia dalla notte fredda di Betlemme al pomeriggio atroce e crudele di Gerusalemme.
A lei allora ci vogliamo affidare in questo nuovo inizio di anno, perché non sia una storia già percorsa quella che ci attende, ma una vita nuova, convertita dall'amore, risanata dal cuore delicato e coraggioso di Maria.
Ci affidiamo a lei, affinché da lei impariamo ad ascoltare, a concedere al Signore di abitarci, a custodire nel cuore le parole che lui ci vorrà suggerire.
Ci affidiamo a lei perché in questo nuovo anno che viene, in ogni nostro giorno di banale routine, di vita familiare, di lavoro affascinante o faticoso, di gioia o di sofferenza, cerchiamo e tendiamo verso un nuovo orientamento dello spirito.
Preghiamo lei perché nelle pieghe dei nostri giorni impariamo a scorgere i segni di Dio e a riconoscere il suo sguardo e la sua voce.
E ci auguriamo che il nostro cuore, finalmente disposto all'amore, possa anch'esso invocare che “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto” e ci guidi ad amare l'uomo come Lui lo ama.

24/12/11

25 dicembre 2011 - NATALE del Signore

Dal Vangelo secondo Luca (2, 1-20)

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.




La Parola creatrice di Dio, il suo amore infinito per l'uomo, oggi “si è fatto carne, ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”, con noi, nelle nostre case, nella nostra vita. Una Parola che da sempre parlava ai nostri cuori, non ha esitato, per amore, a farsi vita della nostra stessa vita, passo dei nostri stessi passi. Ed il volto di Dio per amare l'uomo, la sua "incarnazione", è il più grande e primordiale inno alla vita che l'uomo conosca: un bambino.
E ogni bambino è canto al Vita perché mai visto, diverso da tutto ciò che era prima. Ogni bambino, quando nasce, cambia il mondo che gli sta intorno: un uomo e una donna diventano genitori, quattro genitori diventano nonni, una vita si appresta ad essere disegnata.Ma ogni bambino è un inno alla vita anche perché fragile di ogni fragilità, povero di tutto, incapace di ogni azione: l'unico sostegno e l'unico dono che un bambino possiede è l'amore. Un bambino vive dell'amore che lo circonda, e scambia solo amore con chi gli sta accanto.
Così, come ogni Natale, ci troviamo oggi di fronte al paradosso di un Dio-neonato, un Dio- annuncio di novità, ma un Dio fragile, un Dio indifeso. Il nostro Dio, il Verbo, il Figlio unigenito, oggi è una piccola cellula d'amore che si sprigiona da una sperduta mangiatoia di Betlemme: nulla di più umile, nulla di più ordinario, nulla di più misero, e insieme nulla di più miracoloso e straordinario.
Spesso ci è più facile credere in un Dio onnipotente, artefice di ogni sorte, padrone del modo e dei suoi destini, e dimentichiamo il segno che Lui stesso ha scelto quando è stato il momento di manifestarsi, di abitare in mezzo a noi: essere il più fragile degli uomini, un bimbo che non ha nemmeno un posto dove nascere. E questo Natale allora diventa per noi il momento di fermarci a riflettere, e di vincere la nostra costante tentazione di cercare nella fede una strada per migliorare la nostra fortuna ed il nostro presunto benessere. Certo il nostro Dio avrebbe potuto scegliere di guarire tutte le malattie, di eliminare tutte le sofferenze. Invece fa della debolezza, della vulnerabilità il segno distintivo della sua nascita. Come a dire a tutti i deboli del mondo, sono con voi; a tutti i poveri, sono uno di voi. Come a dire a chi soffre, a chi ha paura, so cosa significa, ho provato anch'io le stesse sofferenze e le stesse paure. E proprio questo essere “con-sorti” di Dio, avere un Dio più vicino di quanto noi stessi possiamo, è il miracolo che ogni anno celebriamo. Ma un Dio nuovo e vero al nostro fianco è comprensibile solo agli occhi dei “pastori”, solo agli occhi di chi ha ancora bisogno di vivere per amore, solo a chi comprende la fragilità per esserne assiduo compagno, solo a chi sa vedere il mondo con realismo e proprio per questo sa gioire della Vita quando, a dispetto di tutto, trionfa. Così oggi anche noi con i pastori vogliamo andare "senza indugio" incontro a questo bambino, dopo tante settimane di attesa. Vogliamo cantare l'inno di gioia che nasce dai cuori che hanno imparato a guardare la vita vera, le cose importanti, la bellezza della propria umiltà e semplicità. Vogliamo “gioire nel Signore”, perché “oggi la luce risplende su di noi”, e nella strada che credevamo arida e distratta abbiamo trovato un Compagno di viaggio, che ci cammina al fianco proprio nei momenti di maggiore difficoltà. Vogliamo stupirci per un Dio che abita la nostra vita condividendola, sempre ed in tutto, insegnandoci che amare non è risolvere i problemi di altri, ma andare al loro passo, soffrire quando soffrono e, poi, gioire insieme quando la fatica si placa.
Allora in questo Natale piegheremo le nostre ginocchia davanti al mistero di un Dio, che supera persino la Parola, per accompagnarci fino sull'uscio delle nostre strade, per insegnarci a non temere, insegnarci a gioire di gioia profonda, insegnarci ad amare di amore totale. 

22/12/11

18 dicembre 2011 - IV domenica di AVVENTO - anno "B"

Dal Vangelo secondo Luca (1, 26-38)

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.






È un giorno qualunque, in una casa qualunque. Una ragazza abbraccia con amore la sua normalità. E' una ragazza speciale, con una vocazione speciale, ma vive semplicemente la sua ordinarietà. E in questa casa, in un piccolo paese ai confini del mondo, avviene l'evento della storia. E questo evento assume la stessa luce domestica del luogo in cui avviene e della ragazza che ne è protagonista. Allora vorremmo, oggi, avvicinarci e guardare ciò che accade tra le mura della casa di Nazaret, in quell'angolo buio della storia, che si trasforma in luce per il mondo.
Ci accostiamo e vediamo l'arrivo di un ospite, o meglio di un messaggero dell’Ospite. Gabriele si fa accogliere da Maria, si fa ospitare nella sua piccola casa per darle un messaggio, per annunciare, a lei e al mondo, che un altro Ospite sta per arrivare. Ed entrando in casa, porta la gioia, quella gioia dirompente di chi sa che una porta si è aperta, e che ogni volta che una porta si apre, è sempre l'inizio di una relazione, di una storia: "Rallegrati, il Signore è con te".Chissà se gli angeli provano emozioni? Ci piace pensarlo, ci piace immaginare che il saluto di Gabriele sia colmo di emozione e stupore davanti alla possibilità che si compia un miracolo così grande, davanti alla donna da cui dipende la salvezza dell'umanità, davanti all'annuncio di quel miracolo consueto ma immenso, che accade ogni volta che una vita che prende forma, e cresce nel grembo di una madre.E' strano, allora, per un istante volgerci indietro, e guardare le porte chiuse delle nostre case, le paure dei nostri giorni, le notizie gridate dei nostri giornali. E' strano pensare alla gioia che può portare un ospite accolto nella nostra casa, alla nostra tavola. Accolto ed ascoltato. Ed è strano chiederci se mai ci sia venuto in mente che ogni ospite potrebbe essere per noi, messaggero di Dio...
Ma torniamo a Nazaret. Maria è turbata, non capisce. La gioia ed il timore vanno spesso di pari passo. Ogni realtà che superi le nostre speranze ci lascia a bocca aperta, ci turba, ci blocca. E Maria in quel momento, sentiva intorno a sé la potenza di un Amore che nessun uomo ha mai potuto contenere, e che lei avrebbe dovuto portare nel grembo. Ne sentiva la presenza, la gioia traboccante, la grandezza umile, e, per un istante, ha provato timore.
E quel timore assomiglia un po' al nostro, quando ci sentiamo chiamati, così come siamo, a piccole o grandi imprese d'amore. E' il timore di ciascuno di noi, quando ci accorgiamo che la nostra fragile umanità vive ed è feconda solo se sappiamo accogliere il progetto di Dio su di noi, ma quel progetto ci sembra enorme, faticoso, irrealizzabile.
E Maria, allora, si fa coraggio, anche per tutti noi, e pone domande. Si fa coraggio perché, per lei, la relazione con il suo Signore è un'abitudine. Pone domande perché la preghiera è, in lei, relazione costante, comune. Ed è solo in questa relazione abituale che può avvenire il miracolo: oggi la sua preghiera quotidiana è divenuta carne, perché nel tempo la preghiera quotidiana era già divenuta relazione.
E  con questi occhi guardiamo anche alla nostra preghiera, ai nostri riti, e ci chiediamo quanto essi siano relazione: relazione abituale e feriale con il nostro Signore, relazione abituale e feriale con tutti gli incontri d'amore in cui ci è chiesto di riconoscerLo, e metterci in gioco.
E vorremmo che il saluto dell'angelo, oggi per noi divenuto preghiera, ci insegnasse la strada per entrare nel mistero di questa relazione, per abituarci ad ascoltare le parole dei messaggeri, e ci aprisse la via per imparare ad accogliere, come Maria, il progetto di Dio su di noi. 

14/12/11

11 dicembre 2011 - III domenica di AVVENTO - anno "B"

Dal Vangelo secondo Giovanni (1, 6-8. 19-28)

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.




Giovanni il messaggero, Giovanni il precursore, Giovanni la voce che grida nel deserto.
Ed è proprio da questo deserto che oggi vogliamo partire. Dal deserto, perchè ci assomiglia. Assomiglia alle nostre solitudini, ai nostri dubbi e tentennamenti. Assomiglia alle nostre case, chiuse su se stesse per paura del mondo che le circonda. Assomiglia alle tensioni che viviamo nei confronti dei nostri figli, che temiamo possano incrociare troppa cattiveria sulle loro strade.
Ma di questo deserto, Giovanni ha fatto luogo di annuncio, di cambiamento, di speranza, di novità. In questo deserto Giovanni è stato una voce. E questa stessa voce, ci sembra, potrebbe essere la nostra. Anche noi "non degni di chinarci per slegare i lacci dei sandali" di Colui che deve venire, ma anche noi capaci di urlare nel deserto.
Sì, lo possiamo, ne siamo convinti. Possiamo gridare la nostra speranza, possiamo gridare la nostra fiducia nella vita, anche in questo deserto. Lo possiamo nella nostra vita di coppia, che non è perfetta, e non lo sarà mai, che è abitata dalle nostre piccolezze e dalle nostre fatiche, che combatte ogni giorno con le nostre piccole infedeltà, ma che non teme di sprecare l'amore, di colmare e di lasciarsi colmare dalla presenza dell'altro. Lo possiamo con i nostri figli, camminando noi, dritti, nel deserto e trasformandolo in quel terreno opportuno per incontrare l'essenziale. Possiamo uscire dal nostro deserto per avviarci nel deserto di Giovanni, quello in cui "un uomo mandato da Dio, venne come testimone per dare testimonianza alla luce."
Un deserto che diventa luogo di riscoperta, luogo di rinascita, luogo adatto per l'incontro con il senso vero delle cose. Un deserto che è luogo di testimonianza. E di questa testimonianza Giovanni sentiva il bisogno, l'urgenza: "Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce." E la sua è stata una testimonianza senza tentennamenti, nella piena coscienza di sé e del suo compito. Giovanni era testimone perchè conosceva la sua missione e chi gliela aveva affidata. Sapeva di non essere il Cristo, ma sapeva anche che il suo compito di messaggero, era compito essenziale per la storia che si stava per compiere. E allora viene spontaneo domandarci: per noi, oggi, cosa significa "dare testimonianza alla luce"?
Noi, uomini e donne del nostro tempo, abbiamo mille occasioni per riconoscere i segni dei tempi, e testimoniare la nostra gioia, abbiamo mille opportunità per "non spegnere lo Spirito" che ci è stato donato, e che ogni giorno è davanti a noi per ricordarci da dove viene la nostra felicità.
Abbiamo occasioni per suscitare speranza in chi si sente sconfitto, o crede di non avere più le forze per combattere per la propria felicità, ogni volta che ci rechiamo al lavoro, o incrociamo sguardi assenti e soli nelle grandi città. Abbiamo occasione di alzare la nostra voce contro chi offende la povertà, e disdegna la vita, ogni volta che sappiamo trasformare in amore per l'uomo le chiacchiere da bar sulla politica. Abbiamo occasione di lottare dentro noi stessi con sincerità per riscoprire la nostra vocazione, ogni volta che siamo tentati di unirci alla schiera dei più, e non sappiamo volgere lo sguardo verso gli ultimi che abitano nella casa accanto, e che, per paura, vorremmo dimenticare.
A noi cogliere queste ed altre occasioni per riconoscere il Dio che c’è e che viene, e non sentirci dire, come i farisei: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”. 

04/12/11

4 dicembre 2011 - II domenica di AVVENTO - anno "B"

Dal Vangelo secondo Marco (1, 1-8)

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».






Siamo, oggi, al cospetto di un "inizio": l'inizio di un Vangelo, l'inizio di una storia nuova, di una buona notizia. Un inizio che porta a compimento ogni speranza, ogni racconto, ogni attesa. L'inizio di una storia personale, quella di "Gesù, Cristo, Figlio di Dio", che diventa storia personale di ciascuno di noi. E questo inizio, come l'inizio di ogni storia d'amore, è un inizio che non ha tempo. Non ha tempo perché già prima di realizzarsi era atteso, sperato, sognato, come ogni giovane ragazza sogna la propria storia d'amore, molto prima che essa abbia inizio. Non ha tempo perché, come ogni storia d'amore, va ridiscussa oggi giorno, va scelta mille volte perché si realizzi nel quotidiano. Non ha tempo perché, come ogni storia d'amore, implica la fine dell'uomo vecchio, per lasciare spazio ad un uomo nuovo.
È questo il "battesimo di conversione", che Giovanni proclamava: la fine di un tempo, perché un altro, nuovo, più vero, potesse arrivare. E così noi, ogni giorno, se vogliamo scegliere l'amore, siamo chiamati a metter da parte i nostri rimpianti, le nostre piccole vendette e i nostri risentimenti, per aprire ancora una volta il nostro cuore.
Già, perché l'attesa che viviamo in questo nuovo inizio dell'anno, è un'attesa che possiamo costruire, preparare in ogni giorno della nostra vita. Quando non cediamo ai ricatti dei nostri figli, e lavoriamo perché le ferite, lasciate dalla fatica di educare, siano riempite dall'amore, prepariamo l'attesa del nostro Vangelo. Quando non facciamo del nostro amore di coppia una partita doppia di contabilità, ma costruiamo, almeno lì, la gratuità per se stessa, prepariamo l'attesa del nostro Vangelo. Quando non ci facciamo schiacciare dal pessimismo di una società, che ci vuole forzatamente tristi, ma "alziamo la nostra voce con forza" consapevoli di poter ancora "annunciare liete notizie", prepariamo l'attesa del nostro Vangelo.
Ed è con gli stessi sentimenti che “tutti gli abitanti di Gerusalemme accorrevano a Giovanni", perché avvertivano che in quell'uomo le attese di un tempo e la fatica di costruire una speranza, trovavano compimento. Così anche noi sentiamo, oggi, che vale la pena prepararci, vale la pena alzarci dai nostri comodi divani, per ricominciare il viaggio dentro noi stessi, che “ci consola” e ci ridona la vita.
Preparare, prepararsi, perché "davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno." E preparare è un verbo davvero importante, un verbo del tempo comune e del tempo speciale, insieme. Si prepara un giorno indimenticabile, ci si prepara per un evento speciale, per un viaggio. Ma preparare è anche un'attività quotidiana, famigliare: i bambini preparano la cartella, a casa si prepara la tavola. E la gioia sta proprio qui: nella cura con cui il rito dell’amore si ricrea ogni giorno, e, nella gioia semplice e serena del vivere insieme e raccontare se stessi.
Preparare allora, significa sapere che il cammino non è mai piano, ma può essere spianato. Significa prestare attenzione, prendersi cura di qualcosa che accadrà, affinché ne scaturisca la nostra felicità. Significa riconoscere, anche nei nostri deserti, la gioia e la speranza che troppo spesso restano nascosti, e scoprire, che le vie del Signore, sono quelle che attraversano allo stesso modo i nostri giorni comuni e quelli speciali. E quando tutto intorno vorrebbe dire il contrario, è proprio allora che la voce del profeta si fa sentire più forte: “Consolate, consolate il mio popolo e gridate che la sua tribolazione è compiuta.”