20/01/12

22 gennaio 2012 - III domenica tempo ordinario - anno "B"

Dal Vangelo secondo Marco (1, 14-20)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.




Una mattina, lungo il mare di Galilea, alcuni uomini partono per la pesca, attendendo alle normali occupazioni cui li chiama la loro piccola impresa famigliare. La speranza di un guadagno giusto, l'avvio dell'attività di ogni giorno, tiene occupati uomini semplici e onesti. E alla riva le solite voci del lago.
Una mattina come quelle in cui nelle nostre case suona una sveglia troppo zelante, che ci chiama ai nostri lunedì. Un rapido caffè, e poi chiamiamo i più piccoli e intimiamo loro di sbrigarsi per non fare tardi. E lo stesso brulichio delle rive del lago si rianima nelle nostre stanze: lavati, vestiti, controlla borse e cartelle, e poi giù dalle scale, per correre alla nostra giornata. E le mosse e le voci sono sempre le stesse, e ci spingono a saluti distratti e frettolosi.
Ma per quei pescatori, quella mattina risuonò una voce nuova, diversa, capace di un amore che nessuno aveva mai saputo esprimere. O almeno crediamo, se "subito lasciarono le reti e lo seguirono". La voce di quella mattina era la voce che dava loro una nuova occasione di vita, che spiegava a ciascuno il significato della propria esistenza, era la voce dell'incontro atteso e sognato, in cui forse avevano smesso di sperare. E ci chiediamo se noi siamo capaci di ascoltarla quella voce, tra i suoni importuni della nostra routine. Ci chiediamo se siamo pronti a cercarla, se crediamo ancora che una voce diversa, piena d'amore, possa risuonare per noi o per i nostri figli, e chiamarci verso una felicità insperata, quella di chi vede versare amore traboccante nella propria fragile normalità.
Sì, perché quello a cui Gesù ha chiamato gli ignari pescatori, non era un destino straordinario, non ha detto loro che sarebbero diventati altro da ciò che erano, ma ha trasformato la loro realtà, rendendola piena di significato: sempre pescatori, ma di uomini. E questo è l'invito che ogni giorno rivolge a noi, e che spesso rischiamo di ritenere banale: sempre sposi, sempre figli e genitori, sempre operai, insegnanti, impiegati. Sempre noi, ma con una caratteristica diversa, che cambia il senso di tutto ciò che facciamo e che siamo: l'Amore.
Questo significava per Simone e gli altri “pescare uomini”: tendere reti, affrontare notti e pericoli, ma per amore, superando gli ostacoli spiccioli del loro cuore e della loro fatica perché l'Amore permetteva loro di volare più in alto. E non dovevano più accontentarsi di piccoli pesci, ma potevano mirare al cuore degli uomini che cercavano un senso, un cambiamento, un Dio talmente grande da farsi uno di loro.
Ma per fare questo bisogna essere capaci di convertirsi, di credere ad una notizia buona, nuova e sconvolgente. Bisogna essere disposti a lasciarsi trasformare, a "girare" il cuore verso le cose che contano, senza esitazioni, senza distrazioni. Eppure quando quella voce risuona per noi e ci dice "venite dietro a me, vi renderò capaci del mio Amore", siamo tentati di rispondere: “grazie, siamo già a posto”. Andiamo a messa, non facciamo del male a nessuno: è tutto quello che dobbiamo fare. E a volte, quella notizia buona non ci sembra tale: il mondo in cui viviamo è difficile, c'è la crisi economica, l'effetto serra... Ci sembra che il vangelo non risolva i nostri problemi. Di "convertirci" ci manca quasi il tempo, e speriamo che Gesù non passi sulle rive del nostro lago, che non voglia chiamare proprio noi. O forse non ci tiriamo indietro, ma gli chiediamo di ripassare più tardi, di darci il tempo per riordinare le idee e capire quanto vogliamo "sporcarci di Dio" e quanto no.
Ma la storia di quei pescatori ci dice che questo atteggiamento non ci è concesso, che anche noi siamo chiamati a distinguere le voci che contano. Ed è per questo che oggi, nella fragilità di chi non sa come lasciare tutto e si sente terribilmente attratto dalla proprie sicurezze, vogliamo rispondere a Lui, con le parole del salmista: “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza.”

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