14/12/11

11 dicembre 2011 - III domenica di AVVENTO - anno "B"

Dal Vangelo secondo Giovanni (1, 6-8. 19-28)

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.




Giovanni il messaggero, Giovanni il precursore, Giovanni la voce che grida nel deserto.
Ed è proprio da questo deserto che oggi vogliamo partire. Dal deserto, perchè ci assomiglia. Assomiglia alle nostre solitudini, ai nostri dubbi e tentennamenti. Assomiglia alle nostre case, chiuse su se stesse per paura del mondo che le circonda. Assomiglia alle tensioni che viviamo nei confronti dei nostri figli, che temiamo possano incrociare troppa cattiveria sulle loro strade.
Ma di questo deserto, Giovanni ha fatto luogo di annuncio, di cambiamento, di speranza, di novità. In questo deserto Giovanni è stato una voce. E questa stessa voce, ci sembra, potrebbe essere la nostra. Anche noi "non degni di chinarci per slegare i lacci dei sandali" di Colui che deve venire, ma anche noi capaci di urlare nel deserto.
Sì, lo possiamo, ne siamo convinti. Possiamo gridare la nostra speranza, possiamo gridare la nostra fiducia nella vita, anche in questo deserto. Lo possiamo nella nostra vita di coppia, che non è perfetta, e non lo sarà mai, che è abitata dalle nostre piccolezze e dalle nostre fatiche, che combatte ogni giorno con le nostre piccole infedeltà, ma che non teme di sprecare l'amore, di colmare e di lasciarsi colmare dalla presenza dell'altro. Lo possiamo con i nostri figli, camminando noi, dritti, nel deserto e trasformandolo in quel terreno opportuno per incontrare l'essenziale. Possiamo uscire dal nostro deserto per avviarci nel deserto di Giovanni, quello in cui "un uomo mandato da Dio, venne come testimone per dare testimonianza alla luce."
Un deserto che diventa luogo di riscoperta, luogo di rinascita, luogo adatto per l'incontro con il senso vero delle cose. Un deserto che è luogo di testimonianza. E di questa testimonianza Giovanni sentiva il bisogno, l'urgenza: "Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce." E la sua è stata una testimonianza senza tentennamenti, nella piena coscienza di sé e del suo compito. Giovanni era testimone perchè conosceva la sua missione e chi gliela aveva affidata. Sapeva di non essere il Cristo, ma sapeva anche che il suo compito di messaggero, era compito essenziale per la storia che si stava per compiere. E allora viene spontaneo domandarci: per noi, oggi, cosa significa "dare testimonianza alla luce"?
Noi, uomini e donne del nostro tempo, abbiamo mille occasioni per riconoscere i segni dei tempi, e testimoniare la nostra gioia, abbiamo mille opportunità per "non spegnere lo Spirito" che ci è stato donato, e che ogni giorno è davanti a noi per ricordarci da dove viene la nostra felicità.
Abbiamo occasioni per suscitare speranza in chi si sente sconfitto, o crede di non avere più le forze per combattere per la propria felicità, ogni volta che ci rechiamo al lavoro, o incrociamo sguardi assenti e soli nelle grandi città. Abbiamo occasione di alzare la nostra voce contro chi offende la povertà, e disdegna la vita, ogni volta che sappiamo trasformare in amore per l'uomo le chiacchiere da bar sulla politica. Abbiamo occasione di lottare dentro noi stessi con sincerità per riscoprire la nostra vocazione, ogni volta che siamo tentati di unirci alla schiera dei più, e non sappiamo volgere lo sguardo verso gli ultimi che abitano nella casa accanto, e che, per paura, vorremmo dimenticare.
A noi cogliere queste ed altre occasioni per riconoscere il Dio che c’è e che viene, e non sentirci dire, come i farisei: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”. 

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