07/10/11

9 ottobre 2011 - XXVIII domenica tempo ordinario - anno "A"

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».






“Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!” Nozze, festa, banchetto: parole che non possono non ricordare il giorno in cui noi stessi abbiamo dato una festa, invitato amici e parenti ad un banchetto per rendere omaggio alla splendida avventura delle nozze che stava iniziando.
Ma oggi quella prospettiva si ribalta, o forse semplicemente si completa, e ci diventa chiaro che gli invitati alla festa, i commensali per il banchetto siamo noi, invitati a gioire della gioia di Dio, ed invitati a quel banchetto. Già perché le nostre nozze di allora e la festa di cui oggi Gesù ci parla, non sono poi così dissimili: hanno in comune una gioia senza fine, che noi ci siamo promessi a vicenda, e che Lui ci garantisce. Un progetto che noi abbiamo sognato fedele, e che Lui permette che lo sia. Una strada su cui noi muoviamo passi incerti, timorosi di inciampare alla prima occasione, e che Lui ha trasformato in strada per la santità, per la felicità profonda che non conosce stanchezza, o termine, o fallimento.
“Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.” Proprio come capita a noi, che pensiamo, a volte, che il Signore sia un accessorio, un elemento da giustapporre alla nostra vita, tanto da dimenticare che il banchetto di quel giorno, come il banchetto di ogni nostro giorno e di ogni nostra sera, era il suo. E così partiamo per andare al nostro campo o ai nostri affari, trasformiamo l'amore in contratto, l'amicizia in compiacenza, o in comodo rimedio per colmare una solitudine. Ripartiamo per i nostri interessi, quelli che non colmano il cuore e che fanno di ciascuno il dio di se stesso. Partiamo come se quel banchetto fosse solo un lontano ricordo, buono per qualche foto e per una lacrimuccia da versare ogni tanto. E d'un tratto ci troviamo lontani dalla festa, senza nemmeno sapere perché, e guardiamo forse con invidia tutti quei commensali che, ricchi solo della loro povertà, hanno accettato l'invito, senza presunzione, senza vanagloria, senza autosufficienza e, colpiti da un invito ai crocicchi delle strade che ha spalancato i loro occhi ed il loro cuore, hanno compreso di non essere i padroni della festa, ma gli invitati.
Allora oggi è questa la prima cosa che ci è chiesta, nel nostro matrimonio, nella nostra vita quotidiana, nei nostri rapporti di amicizia, nei legami più stretti e in quelli più lontani: vivere i nostri giorni come invitati al banchetto. E non con un assenso teorico, con il rispetto di riti formali, ma con le azioni concrete che abitano le nostre giornate, e che davvero dicono chi è il Signore della nostra vita, riflettono a chi promettiamo e osserviamo obbedienza, lasciano trasparire quale sia per noi la radice dell'amore. Solo così potremo aspirare a indossare “l'abito nuziale”: quello che si addice a chi ama nella concretezza delle scelte e delle azioni; quello che si addice a chi desidera la felicità dell'altro più della propria e si applica ogni giorno per costruirla; quello che si addice a chi rinuncia a se stesso per incamminarsi nell'avventura quotidiana dell'amore, per scoprirsi degno di sedere al banchetto di Dio.



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