17/02/12

19 febbraio 2012 - VII domenica tempo ordinario - anno "B"

Dal Vangelo secondo Marco (2, 1-12)

Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.
Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».
Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua».
Quello si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».






La folla si accalca intorno a Gesù, rientrato a Cafarnao. Una folla che già lo conosce e a cui è tornato per annunciare la Parola. E, tra la folla, quattro persone si fanno carico di accompagnare un paralitico, uno che mai avrebbe potuto raggiungere Gesù senza il loro aiuto. E, impediti nel loro procedere, hanno l'ardire di calarlo dall'alto, perché possa vedere il Maestro da vicino. Quattro persone senza un volto e senza un nome, ma senza le quali quell'uomo, fermo nel fisico, e forse anche nel cuore, non avrebbe mai visto la salvezza né dalla malattia, né dai suoi peccati.
Quattro persone il cui unico ruolo è accompagnare. Lo stesso ruolo a cui anche noi, sposi e genitori, siamo costantemente chiamati.
Accompagnare ed accompagnarsi prima di tutto come coppia, alla scoperta dell'amore, alla scoperta quotidiana della propria vocazione. Accompagnarsi reciprocamente vicino al Maestro, perché le fragilità dell'uno siano curate grazie alla premura dell'altro. Accompagnarsi e sostituirsi in tutte quelle piccole paralisi del cuore in cui l'amore non muore, ma quasi si atrofizza senza rumore, senza scontri. Accompagnarsi osando anche di scoperchiare i tetti, di ferire una scorza che sembra intoccabile. Accompagnarsi incuranti di quella folla che oggi più che mai ci fa credere che sia più facile posare una pietra irremovibile sulle nostre infermità di coppia, che non credere in una risurrezione dell'amore desiderata oltre ogni evidenza. Accompagnarsi e osservare il Maestro del perdono, perché il miracolo del perdono, è tanto più difficile e stupefacente quanto più le fatiche sono nascoste e sotterranee.
E ancora, accompagnare i propri figli, quando non camminano da soli perché sono troppo piccoli per farlo, perché sanno camminare solo grazie alla nostra mano. Accompagnarli ad un incontro che ha bisogno di essere coltivato come si coltiva un'amicizia. E accompagnare anche i figli più grandi, quelli che saprebbero muoversi con le proprie gambe, ma sono paralizzati dalle infinite inquietudini che avvolgono un bambino nel divenire uomo, o dai molteplici dubbi che si fanno strada nella mente di chi sta costruendo la verità di se stesso, o più semplicemente, fermati dalle folle stanche o disilluse, che immobili ascoltano la Parola, ma non osano più sperare nella salvezza, nel miracolo di un cambiamento, nella risurrezione dall'errore.
Di queste quattro persone non si dice null'altro: calano la barella dall'alto e poi scompaiono. Non sappiamo come abbiano commentato le parole ed il miracolo di Gesù, non sappiamo se siano andati poi a festeggiare la guarigione insieme al paralitico, o abbiano chiesto riconoscimento per il favore reso. Ma ci piace raccogliere il loro invito a scomparire dopo avere accompagnato, a non recriminare sul risultato ottenuto, o sull'uso che il paralitico ora farà della sua guarigione. Ci piace raccogliere questo invito ed imparare a non sentirci gli artefici o i responsabili della guarigione, imparare che non è la nostra parola, ma la Sua, che può salvare. A noi è chiesto solo di accompagnare, di prenderci cura di chi ci è dato di amare, e di non fermarci davanti a folle che non comprendono la sproporzione dei nostri gesti o davanti ad ostacoli che sembrerebbero insormontabili. Solo questo, e poi lo stupore di accorgerci che in ogni piccolo gesto della nostra vita possiamo ascoltare le parole di un Dio premuroso, che ci guarda sorridente e ci dice: "Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa."

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