11/02/12

12 febbraio 2012 - VI domenica tempo ordinario - anno "B"

Dal Vangelo secondo Marco (1, 40-45)

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.




Un uomo impuro, piagato dalla malattia e dall'esclusione, in ginocchio supplica Gesù. Un lebbroso osa ciò che non avrebbe dovuto osare e suscita l'attenzione del Maestro, la sua compassione, il suo amore, ed ottiene di essere guarito. E una volta guarito, viene inviato agli uomini di Dio, come testimonianza per loro. La sua carne ed il suo "risarcimento" per dire ai sacerdoti che Gesù è il Messia, ma per dire a noi che l'amore per Dio, non può che passare dall'amore folle per l'Uomo.
E così veniamo quasi scaraventati al cospetto di tutti gli "esclusi" della nostra società. Vediamo zattere fatiscenti che tentano di raggiungere ogni giorno le nostre coste, vite trascinate sulle panchine delle stazioni ferroviarie, malattie troppo invadenti perché l'amore degli uomini abbia ancora il coraggio di abbracciarle come si abbraccia una vita, e finanche vite troppo invadenti per essere considerate tali.
E vediamo anche le esclusioni vissute nelle nostre case: un figlio con cui non riusciamo più a comunicare, una moglie lasciata sola a lavare, stirare, cucinare, senza veder riconosciuta la propria fatica, un marito di cui non sappiamo più apprezzare fatiche e sforzi.
Davanti a questi piccoli e grandi testimoni ci è chiesto di riconoscere che Gesù è venuto per loro, per la loro salvezza, per la loro riabilitazione. È venuto a superare una legge di esclusione, per includere tutti nell'Amore: nel Suo amore, ma prima, in questo viaggio che compiamo sulla stessa terra, nel nostro amore. Amore per l'uomo, per la sua sorte, per la sua dignità. Amore per la giustizia, per la Verità di ciascuno. Amore che va oltre le condanne irrevocabili, che supera il ribrezzo di un corpo lacero, la fatica di una relazione ferita, ed impara a riconoscere ogni piccola scintilla di Dio.
E riconosciuta la Sua mano, impariamo a desiderare di stringerla. E capiamo che quella Compassione che, con un gesto sconvolgente, ha sanato il lebbroso, oggi si piega dolcemente su di noi, sulle nostre piccole o grandi fatiche, sulle nostre “cattive abitudini”, e persino sulla nostra incapacità di amare. E lei sola ci permette di piegarci a nostra volta sopra altre ferite, e ci guida a toccare le profondità di chi ci è accanto. Solo la Sua compassione può farci accostare alla lebbra delle parole dure che hanno incrinato una relazione, alla lebbra di una ferita profonda che brucia e allontana, alla lebbra di una maternità o paternità confusa, delusa, tradita. Solo capaci di “regalare a Dio” la nostra fatica, saremo capaci d'amare.
Ma oggi il lebbroso ci insegna anche a gridare la nostra gioia, lui che non si tiene per sé il miracolo, incurante degli ordini ricevuti. Ed una disobbedienza che è corsa verso la vita, trasgressione per eccesso di gioia, ci suggerisce di sorridere anche nel grigio delle nostre strade, come si sorridono da lontano due innamorati. Ci chiama a raccontare con la nostra vita che l'amore, la speranza, la gioia, la solidarietà sono possibili, concreti, realizzabili, a “ribadire con forza che il bene esiste e vince”.
Ci spinge ad amare oltre le nostre forze, e compiere gesti pazzi per amore. E tutto questo a dispetto delle sofferenze inflitte o subite, delle delusioni, dei piccoli tradimenti quotidiani di cui siamo ora attori, ora spettatori o vittime.
E lo possiamo fare perché siamo stati noi stessi curati da un Amore capace di colmare i nostri vuoti e scavalcare le nostre asprezze. Lo possiamo perché quell'amore ci ha riempito oltre misura, trasformandoci in cisterne traboccanti, incapaci di contenerLo. Lo possiamo perché anche noi, come il lebbroso, come Paolo, siamo chiamati a diventare "imitatori" di quell'Amore. 

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