02/09/11

4 settembre 2011 - XXIII domenica tempo ordinario - anno "A"

+ Dal Vangelo secondo Matteo (18, 15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».



Oggi Gesù ci guida lungo un nuovo tratto di strada: ci indica la concretezza e insieme la profondità quotidiana dell'amore. L'Amore che Dio ha immaginato per noi, quel seme posato dentro ciascuno ad immagine di Lui, non è fatto di sogni, o desideri, o astratti misticismi. È un amore che passa dalla carne. La carne del Verbo prima di tutti, e la carne di ogni fratello che vive accanto a noi e che oggi ci è chiesto di “guadagnare”.
Una strada semplice allora, quella a cui siamo chiamati: amare in carne ed ossa le persone che ci vivono accanto, nella concretezza delle nostre e delle loro giornate. E amarle non per particolare sforzo di volontà, ma semplicemente perché l'Amore che Dio ci ha messo nel cuore, e che Gesù ci ha permesso di vivere con il dono di se stesso, trabocca da noi e non può che riversarsi sull'uomo, su ogni uomo, dal momento che ad ogni uomo è destinato.
E così anche Paolo ribadisce e ci spiega: “Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole”.
Per questo vogliamo immergerci oggi in questa routinaria quotidianità fatta di incontri, di relazioni, di legami, di sguardi, di occhi che si incrociano e mani che si stringono. Ci immergiamo in questo debito di amore vicendevole e cogliamo l'intima verità della nostra vita: costruire ogni giorno l'amore che ci è stato affidato.
Affidato a noi nella concretezza di un amico, di un figlio, di un coniuge, di un vicino sofferente o gioioso. Affidato a noi anche quando non riusciamo a scorgere nei visi o nelle parole i tratti dell'Uomo amato da Dio. Affidato a noi perché siamo stati “posti come sentinelle” per il cuore dei fratelli, perché siamo stati destinati a custodire la bellezza della comunione, dell'unità, della danza docile e libera dell'amore. Affidato a noi nella gioia ed affidato a noi nei piccoli o grandi contrasti quotidiani, in cui siamo chiamati a non tradire la Verità per non tradire l'Amore. Ma non la nostra verità, bensì la Sua, quella che sa coniugare giustizia e misericordia, correzione e scioglimento dell'errore, quella che ci vuole “perfetti” non già perché capaci di non inciampare, ma perché sempre certi della possibilità di ricominciare il cammino.
E tutto questo, non da soli, ma tra le braccia accoglienti dei nostri fratelli. Non solo accogliere, ma essere accolti; non solo amare, ma lasciarsi amare; non solo correggere, ma essere corretti; non solo perdonare, ma lasciare che il perdono altrui illumini il nostro cuore.
E sappiamo quanto a volte sia più facile dare che ricevere, quanto spesso l'amore che doniamo riempia i nostri cuori di compiacimento anziché condurli a quella straordinaria debolezza che chiede di essere colmata.
E allora, davanti alla fatica del vivere la semplicità originaria dell'amore, ci restano cuore e labbra solo per la preghiera, perché sappiamo che “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”.
Una preghiera che non è più rito, non è formula imparata nell'infanzia, ma parola pronunciata, colloquio con la sorgente di ogni nostra felicità, e pronunciata in coro, insieme ad altri, pronti come noi a ricevere per poter donare.
“Prostràti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti. È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce.”

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