19/11/11

20 novembre 2011 - XXXIV domenica tempo ordinario - Festa di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo - anno "A"

Dal Vangelo secondo Matteo (25, 31-46)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».




“Siederà sul trono della sua gloria”. Oggi concludiamo l’anno liturgico, celebrando la regalità del nostro Dio: un Dio che siede sul trono circondato dagli angeli e che dona in eredità il suo regno. E, quasi a consentirci di essere pronti per il giorno della sua gloria, oggi Gesù ci indica con chiarezza la strada per ottenere questa eredità: “ tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.”
Una strada particolare per accostarci alla sua regalità, una strada che ci chiede di identificare il Re con chi ha fame e sete, con lo straniero, il malato, il carcerato. Una strada che ribalta la nostra idea di eredi, ma che è la stessa che Lui stesso ha percorso, nei suoi giorni terreni. E così, oggi, spogliati di ogni orpello o pretesa di onore personale, ci troviamo al cospetto del “come” spendere la nostra vita, per essere veramente suoi seguaci e per ottenere l’eredità preparata per noi da sempre: guardare gli occhi dei nostri fratelli, di chi ci vive accanto nell’anonimato, nell’indifferenza o, peggio, nell’abbandono, e lasciarci interpellare da quegli occhi. Occhi anonimi, certo, ma occhi che per noi, cui è stato spiegato il significato della vita, cui è stata mostrata la strada della felicità, non possono non essere occhi di Re. Perché solo nel momento in cui quegli occhi, quei volti, quelle necessità, diventeranno il comandamento del nostro agire, potremo aprire la nostra vita, la nostra storia, la storia della nostra famiglia, alla felicità. E comprendiamo come allora, tutto il nostro vivere, quel far fruttare i talenti di cui domenica scorsa abbiamo sentito narrare, diviene un vivere “per”, un vivere donando tutto ciò che abbiamo ricevuto, spendendo le nostre ricchezze d'amore senza rammarico e senza parsimonia. Vivere per riconoscere Dio nell'altro, vivere per imparare ad ascoltare la voce di Dio nelle infinite richieste d'amore che ci vengono dalla nostra quotidianità, vivere per spendere la nostra libertà, per giocarla rispondendo mille e mille sì alla domanda di accoglienza che ci viene dai nostri “fratelli più piccoli”.
E la prima strada per apprendere questa vicinanza, questa prossimità, la impariamo proprio nelle nostre case, palestre di relazioni, chiamate ad orientare la vita, a dirigersi verso il mondo, a non impadronirsi della bellezza dell’Amore, ma a nutrirsene regalandolo a chi bussa. Così, ripercorrendo nella mente le cose fatte o dette “per” il nostro coniuge, o “per” i figli, scopriamo quanto il “vivere per”, il fare dell’altro la nostra strada d’incontro con Dio, non esprima la rinuncia incondizionata alla propria libertà, né sia una masochistica forma di sacrificio, ma racchiuda il senso, il significato dell’eredità che attendiamo, l’orizzonte preciso di una scelta di vita, la direzione che Lui stesso ci ha indicato: “andare in cerca della pecora perduta, ricondurre all’ovile quella smarrita, fasciare quella ferita e curare quella malata, aver cura di quella grassa e forte”. Avere cura, rispondere con fiducia, e senza più alcuna paura, a chi ci chiede il rischio di amare. Dare il nome dell’amore ad ogni incontro o relazioni che costruiamo, ad ogni legame che stringendoci ci libera da noi stessi per aprirci a Lui. Avere cura delle fragilità altrui, lasciando che si mescolino alle nostre, senza nasconderci dietro un impaurito: “Quando mai ti abbiamo visto e non ti abbiamo servito?” Solo così potremo prepararci all’incontro più importante della nostra vita, alla relazione d’amore più speciale che ci attende, e solo così potremo, nei nostri semplici giorni, gustare la vicinanza di un Signore che “ci fa riposare su pascoli erbosi, ci conduce ad acque tranquille. rinfranca l’anima e ci guida per il giusto cammino.”

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